REATO CONTINUATO E RESPONSABILITA’ DEL CONCORRENTE PER REATO DIVERSO DA QUELLO VOLUTO

All’art. 81 cp, subito dopo la disciplina del concorso formale o ideale di reati, il sistema riconosce la figura del reato continuato o della continuazione fra reati, frutto dell’estensione a reati eterogenei dell’istituto in esame.

Se il concorso formale si caratterizza per l’identità di azioni od omissioni, il reato continuato si contraddistingue per la molteplicità di azioni od omissioni, e per l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Nella sua originaria formulazione, l’art. 81 cp richiedeva la violazione della medesima disposizione di legge. Si parlava pertanto di reato continuato omogeneo.

Con la riforma del 1974, che ha introdotto l’attuale enunciazione, la portata è stata ampliata anche ai reati offensivi di diversi interessi protetti e ai fatti violativi di differenti disposizioni normative.

Infine, nel 2006 è stato modificato l’art.671 cpp che ha previsto che sia il giudice dell’esecuzione ad applicare nella fase esecutiva l’art. 81, co. 2.

La struttura del reato continuato prevede al suo interno tre elementi costituivi, ossia la plurima violazione della stessa o di diverse disposizioni di legge con più azioni od omissioni; la possibile distanza cronologica tra dette violazioni e il medesimo disegno criminoso.

Quanto al primo elemento, la Consulta ha chiarito, rigettando la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., che l’istituto in oggetto si possa configurare anche qualora un’unica azione a effetto plurimo produca la violazione simultanea della stessa disposizione di legge.

Inoltre, l’attuale indirizzo interpretativo reputa che il giudicato non sortisca effetto interruttivo del progetto criminoso, in dissonanza con il precedente orientamento che riconosceva al giudicato predetto automatica valenza di arresto.

Nella consistenza del medesimo disegno criminoso risiede la ratio del trattamento di favore rispetto a quello previsto per il concorso materiale, ossia il cumulo giuridico. Infatti, l’elemento unificante giustifica il favor rei proprio nella minore riprorevolezza complessiva dell’agente che cede ai motivi delinquenziali una sola volta, quando concepisce il medesimo disegno criminoso, appunto.

È prevalsa l’accezione teleologica dell’espressione “medesimo disegno criminoso”, in base alla quale la medesimezza richiede, oltre all’originale rappresentazione  e deliberazione di una pluralità di reati, un elemento finalistico costituito dal conseguimento di un unico programma illecito, il quale ben potrà essere rivisto senza, però, stravolgere la struttura di fondo. Pertanto, saranno ben configurabili mere variazioni esecutive, ritenute fisiologiche e naturali.

Risultano, dunque, definitivamente abbandonate sia la tesi intellettiva, che prevede quale requisito una mera rappresentazione unitaria e anticipata dei singoli episodi criminosi, e la tesi volitiva, in base alla quale occorre una unitaria e anticipata deliberazione dei reati da commettere.

In dottrina e in giurisprudenza ci si è chiesti se il reato continuato debba considerarsi un unico reato o una pluralità di illeciti destinati a conservare la loro autonomia, tranne per gli aspetti espressamente disciplinati dalla legge.

Ebbene, una prima tesi predica l’unità reale, fondandosi sulla unicità della fattispecie e sulla conseguente unicità della risoluzione criminosa e sulla omogeneità delle violazioni.

Una seconda tesi sostiene l’unità fittizia, in quanto ritiene che i reati legati dal vincolo della continuazione sono fattispecie autonome, poiché il legislatore ha operato una fictio unificante, valida solo sotto il profilo sanzionatorio e per altri effetti penali.

Attualmente l’unanime dottrina ritiene che il reato continuato si configuri come una particolare ipotesi di concorso di reati che va considerata unitariamente solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come quelli appunto relativi alla determinazione della pena, mentre per tutti gli altri la unitarietà può essere ammessa solo se garantisce un risultato più favorevole al reo.

Infatti, come anticipato, la novella del 1974 ha eliminato il requisito della omogeneità delle violazioni, che costituiva l’originaria condizione per la riconducibilità di plurime condotte illecite sorrette dalla identità del disegno criminoso. Inoltre, la riforma del 2005 ha fissato per ciascun reato legato dal vincolo della continuazione un proprio termine di decorrenza iniziale per la prescrizione, conferendo autonomia alle singole violazioni non più inscindibili fra loro.

Dunque, è stata definitivamente superata la concezione dell’unitarietà del reato continuato anche grazie all’intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, la quale si è espressa, in tema di individuazione del reato più grave, affermando che si debba tener conto della eventuale applicazione di circostanze aggravanti o attenuanti ai singoli reati commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso.

Quanto infine alle modalità di determinazione della pena contenute nei commi 2 e 3 dell’art.81 cp, si applica la disciplina prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo, che però non può superare le singole pene previste per le fattispecie unificate.

Le SS.UU propendono per criteri di identificazione della violazione più grave in termini astratti, ossia quelli  che il legislatore impone per ciascun reato, tenuto conto anche di tutte le circostanze pertinenti a uno o più reati, e non facendo riferimento agli indici di gravità desumibili ex art.113 cpp.

Gli argomenti a sostegno addotti si basano sulla esigenza di certezza del diritto, affidata a parametri determinati, ancorchè sottratti al potere discrezionale del giudice; e al dato letterale, che individua nella violazione più grave, e non nella pena più grave, il criterio di determinazione in oggetto.

Per quanto riguarda l’ambito applicativo dell’art. 81 cp, si è posto il problema se sia estensibile anche a peculiari fattispecie concorsuali anomale rispetto all’esito finale. A tal fine occorre indagare il disposto dell’art.116 cp., che disciplina la responsabilità del concorrente per un reato diverso da quello voluto.

Si tratta di una forma peculiare di aberratio delicti ex art. 83 cp., che riflette, a ben vedere, il particolare rigore con il quale è considerata dal codice la reità plurisoggettiva, rispetto all’ipotesi monosoggettiva del citato art. 83 cp..

Nell ’ipotesi descritta in tale ultima fattispecie l’evento diverso realizzato deve essere il risultato di un errore nell’uso dei mezzi di esecuzione, il cd. errore-inabilità, oppure l’effetto di un’altra causa. Non è richiesta la prevedibilità dell’evento stesso.

Nel concorso anomalo, invece, l’evento deve essere voluto da taluno dei correi; in mancanza tornerebbe a operare il meccanismo di cui all’art. 83 cp. Inoltre, l’art. 116 cp richiede la prevedibilità dell’evento.

Ed è proprio attraverso tale requisito che si è cercato di porre dei correttivi interpretativi alla rigidità della impostazione oggettivistica scelta dal legislatore italiano. Infatti, la disciplina dell’art. 116 cp fu avversata sin dall’inizio e, soprattutto, all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948, in quanto in evidente contrasto con i principi generali del nostro ordinamento e, soprattutto, con quello di colpevolezza.

Invero, difetta il dolo del concorrente nel reato diverso realizzato e sorge il problema di stabilire se e a che titolo il concorrente ne possa rispondere penalmente.

Si sono delineate tre soluzioni, una di stampo soggettivistico, in base alla quale  ciascun correo dovrebbe rispondere solo dell’evento effettivamente voluto; una oggettivistica, seguita dal nostro legislatore, secondo la quale, l’evento andrebbe imputato per lo stesso titolo a ciascuno sulla sola base del contributo causale materiale. E, infine, una soluzione mista, che distinguerebbe l’imputazione in dolosa per chi vuole l’evento da quella colposa per chi concorre, ma vuole un evento diverso.

Ebbene, la soluzione scelta dal legislatore è apparsa disallineata dalla colpevolezza ed è sembrato che realizzasse un’ipotesi di responsabilità oggettiva, collidente con il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale. Pertanto, si è iniziato a sostenere che fosse necessario, oltre all’adesione dell’agente a un reato concorsualmente voluto, e alla commissione, da parte di un altro correo, di un reato diverso o più grave, anche di un nesso materiale psicologico fra l’azione del compartecipe al reato inizialmente voluto e quello diverso effettivamente commesso. Questo deve essere prevedibile, in quanto logico sviluppo di quello concordato, pena l’ordinario regime della responsabilità a titolo di concorso pieno.

Dunque, ai fini della responsabilità a titolo di concorso anomalo sono rappresentati in senso positivo dal nesso causale materiale e psicologico tra reato inizialmente voluto e quello commesso, e dalla prevedibilità del reato diverso. L’agente  deve aver previsto e accettato il relativo rischio di verificazione.

In negativo, perciò, deve difettare il dolo, anche nella sua forma più blanda di dolo eventuale; il reato più grave o diverso non deve essere accettato come possibile conseguenza ulteriore o diversa del programma criminoso. Infine, l’evento diverso non deve essere atipico, ossia non deve essere conseguenza di circostanze eccezionali e non ricollegabili all’azione del partecipe.

Il logico sviluppo, quindi, è il criterio maggiormente utilizzato dalla giurisprudenza dominante, la quale sembra propendere per una declinazione astratta della prevedibilità. Infatti, un consistente orientamento ritiene che sia sufficiente alla configurabilità dell’art. 116 cp che l’evento realizzatosi sia una possibile conseguenza della condotta concordata secondo le regole di ordinaria coerenza dello svolgersi dei fatti umani, non spezzata da fattori accidentali, imprevedibili o eccentrici.

Isolate le pronunce che pretendono la prevedibilità in concreto del reato diverso, e che tengono conto di tutte le circostanze dell’azione, valutate secondo l’esperienza dell’uomo medio, della rappresentabilità delle stesse all’imputato, della  personalità di questi. Tra le predette, vi è la sentenza che si espresse in relazione alla famosa strage di Gioia Tauro negli anni ’70, e che stabilì come debba essere preteso, quale coefficiente di colpevolezza,  la prevedibilità in concreto, parametrata sul criterio dell’homo eiusdem condicione set professionis, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Alla luce dei suddetti parametri il partecipe  non risponderà del reato diverso allorchè, pur usando la dovuta diligenza, non avrebbe potuto prevedere ciò che si è verificato.

Ciò posto, giova osservare come l’art. 116 cp si applichi sia nel caso in cui l’evento diverso sia più grave, ma anche meno grave di quello voluto, sia qualora si configuri la cd. doppia offesa, ossia oltre al reato concordato si è commesso un altro che ne costituisce prevedibile sviluppo. Va puntualizzato come rientri nell’ambito disciplinato dall’art. 110 cp l’ipotesi nella quale oltre al reato programmato ne vengano commessi ulteriori.

Alla luce di quanto argomentato resta il dubbio se la disciplina del reato continuato possa attrarre anche le deviazioni non volute dal programma esecutivo iniziale. Infatti, a fronte di un orientamento negativo che mira a scongiurare ipotesi di responsabilità oggettiva e che, pertanto, richiede la prevedibilità in concreto dell’evento non voluto, si oppongono indirizzi che predicano l’applicazione della disciplina del reato continuato alle ipotesi nelle quali si verifica un reato diverso, in quanto valorizzano la nozione di programma iniziale e di volontà che impregna il reato base.

Si è sostenuto, anche di recente, che le deviazioni esecutive non incidono sul disegno criminoso, rimanendo così l’evento più grave avvinto al detto programma che aveva delineato, invece, l’evento voluto. L’elemento volontaristico, pertanto, non verrebbe pregiudicato dalle aberrazioni sopravvenute, le quali si sono verificate nella fase esecutiva del delitto,  e non hanno influenza, perciò, sul momento deliberativo e volitivo dello stesso.

Sicchè, secondo l’orientamento in commento, l’errore non attiene in alcun modo alla fase ideativa e volitiva del reato, non ha alcuna incidenza sull’elemento del partecipe morale.

Il reato continuato, che  si fonda proprio “sull’ideazione e programmazione unitaria”, nulla ha a che vedere, quindi, con l’eventuale esito aberrante per un mero errore esecutivo. Questo, infatti, non muta i termini dell’accertamento dell’elemento psicologico richiesto per l’integrazione della continuazione, la quale deve riguardare la riconducibilità a una comune e unitaria risoluzione criminosa del fatto-reato così come in origine programmato. Il contenuto volitivo, attuativo di quella risoluzione, rimane uguale e non subisce alcuna modifica per il solo fatto che l’evento prodotto sia difforme da quello originario.

L ’elemento dell’ideazione e della volizione è l’unico che deve essere valutato anche in ordine alla applicazione della disciplina del reato continuato, potendo così configurarsi una continuazione tra reati anche nel caso in cui i soggetti materialmente offesi siano persone diverse rispetto a quelle originariamente previste. Sarebbe illogico, infatti, accertare il dolo del reato rispetto al momento ideativo-volitivo e poi escludere la continuazione, in caso di aberratio ictus.

Ciò che deve essere tenuto in considerazione è proprio l’iniziale momento ideativo-rappresentativo del fatto-reato. Laddove, dunque, più reati fossero espressione di un medesimo disegno criminoso, la continuazione non può essere esclusa solo perché, per un errore nella fase esecutiva, uno o più dei reati inizialmente programmati si materializzassero producendo eventi diversi.

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