E’ dell’Inter lo scudetto 2005-2006

 

Si riporta un abstract della sentenza della Cassazione civile a Sezioni  Unite, Sent., (ud. 25-09-2018) 13-12-2018, n. 32358, sull’assegnazione definitiva all’Inter dello scudetto in relazione al campionato di calcio 2005-2006:

..Orbene, va premesso che il d.l. n. 220/2003, nel dettare Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, all’art. 1 assicura l’autonomia dell’ordinamento sportivo e garantisce tutela giurisdizionale solo a quelle posizioni giuridiche soggettive che, pur legate con l’ordinamento sportivo, siano rilevanti per l’ordinamento statale. In tale prospettiva, dall’art. 2 sono devolute all’ordinamento sportivo (a) sia l’osservanza delle disposizioni regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni, (b) sia le condotte di rilievo disciplinare e l’irrogazione e applicazione delle relative sanzioni sportive. Trattasi del “vincolo sportivo”, in base al quale le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati hanno l’onere di adire, secondo statuti e regolamenti del C.O.N.I. e delle federazioni, gli organismi di giustizia dell’ordinamento settoriale. Infine, all’art. 3 si stabilisce che, una volta esauritisi i ricorsi interni alla giustizia sportiva – e fatta salva la giurisdizione ordinaria sui soli rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti – ogni altra vertenza su atti del C.O.N.I. e/o delle federazioni sportive è disciplinata dal codice del processo amministrativo.

2.1 Anche C. cost. n. 49/2011 riconosce la coesistenza di tre forme di tutela: a) giurisdizionale ordinaria, per i rapporti di carattere patrimoniale tra società, associazioni, atleti e tesserati; b) giustiziale interna in stretto ambito sportivo, per le questioni aventi ad oggetto le materie di cui all’art. 2 citato; c) giurisdizionale amministrativa, riguardo a tutto ciò che non concerne i rapporti patrimoniali tra soggetti sportivi e non rientra nella riserva di cognizione degli organi della giustizia sportiva. Però, laddove il provvedimento federale o del C.O.N.I. incida anche su posizioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale, la domanda diretta non alla caducazione dell’atto, ma unicamente al consequenziale ristoro del danno, deve essere proposta innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva.

2.2 Le sezioni unite, pronunciando in casi similari, laddove era stato dedotto ovvero contestato il difetto assoluto di giurisdizione, hanno ripetutamente affermato il principio che la giustiziabilità della pretesa dinanzi alla giustizia statale costituisce una questione non di giurisdizione ma di merito (Cass., Sez. U., 04/08/2010, n. 18052). Ciò è in linea con altri arresti secondo cui la configurabilità, o meno, di una situazione giuridicamente rilevante e tutelabile non rientra tra le questioni di giurisdizione, costituendo, invece, questione di merito, che deve essere rimessa alla valutazione monopolistica del giudice del merito (Cass., Sez. U., 15/06/1987 n. 5256 e 23/03/2004, n. 5775). Il principio è stato ribadito, partitamente, riguardo alle federazioni sportive (Cass., Sez. U., 29/09/1997, n. 9550 e 24/07/2013, n. 17929) e recentemente anche riguardo alla F.I.G.C. (Cass., Sez. U., 16/01/2015, n. 647).

3. Nel caso in esame non possono essere messe ragionevolmente in dubbio, nè la qualificazione della situazione in capo alla soc. Juventus, così come operata dalla Corte territoriale, nè la corretta applicazione, da parte della stessa Corte, delle norme di riferimento invocate dalla odierna ricorrente.

3.1 Anche in dottrina si è osservato che, secondo il principio dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, è riservata esclusivamente a quest’ultimo la disciplina delle questioni riguardanti – non solo l’osservanza e l’applicazione delle regole tecniche (art. 2, comma 1, lett. a)), ma anche – i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive (lett. b). Ne deriva che compagini, affiliati e tesserati, quali soggetti propri dell’ordinamento sportivo, non possono che adire gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ogniqualvolta vengano in riguardo controversie tecniche, ovverosia vertenze riguardanti il corretto svolgimento della prestazione agonistica e/o la regolarità della competizione (Cass., Sez. U., 26/10/1989, n. 4399), e controversie disciplinari, ovverosia vertenze riguardanti l’irrogazione di provvedimenti di carattere punitivo nei confronti di atleti, tesserati e compagini sportive.

3.2 Invero, la normativa in esame riconosce e favorisce “l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale”, quale “articolazione dell’ordinamento sportivo Internazionale” facente capo al C.I.O. (Comitato olimpico Internazionale), confermando quanto già risultante da altri contesti normativi (D.Lgs. 23 luglio 1999, n. 242,artt. 2 e 15L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 11). Cioè, in estrema sintesi, che questo ordinamento autonomo costituisce l’articolazione italiana di un più ampio ordinamento autonomo avente una dimensione Internazionale e che esso risponde ad una struttura organizzativa extra-statale riconosciuta dall’ordinamento della Repubblica (C. cost. cit.). Ma, anche prescindendo dalla dimensione Internazionale del fenomeno, l’autonomia dell’ordinamento sportivo trova ampia tutela negli artt. 2 e 18 Cost., non potendo revocarsi in dubbio che le associazioni sportive siano tra le più diffuse formazioni sociali dove si svolge la personalità e che debba essere riconosciuto a tutti il diritto di associarsi liberamente per finalità sportive (ult. cit.).

3.3 il d.l. n. 220/2003, nel testo derivante dalla legge di conversione, ha stilato un’elencazione, sicuramente tassativa, dei settori in cui si manifesta senza limiti l’autonomia dell’ordinamento sportivo, per la stimata indifferenza (o irrilevanza) dell’ordinamento generale per le questioni che possano scaturire dalle ridette materie. Come si è osservato, anche in dottrina, il testo del citato art. 2, non lascia dubbi sul fatto che le questioni tecnico-disciplinari siano stimate come ontologicamente inidonee a coinvolgere situazioni giuridiche soggettive, qualificabili come diritti soggettivi o interessi legittimi o, quanto meno, a ritenere che diritti soggettivi ed interessi legittimi eventualmente configurabili in relazione all'”osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale” ed ai “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” siano di importanza così tenue da poter essere trascurati senza effetti pregiudizievoli per l’ordinamento della Repubblica.

3.4  che, come ha stabilito C. cost. n. 49/2011, non significa escludere che le decisioni degli organi sportivi di natura tecnico-disciplinare possano dar luogo a ricadute di tipo economico (sì da toccare interessi patrimoniali), bensì riconoscere che simili situazioni siano mere conseguenze di posizioni giuridiche rilevanti solo per il mondo dello sport, ovverosia secondarie e trascurabili per quello generale a fronte della preminente importanza che la materia tecnico-disciplinare ha per il mondo sportivo. Trattasi di posizioni tutelabili, al massimo e in ipotesi di pregiudizi economicamente valutabili, attraverso il ricorso agli organi giurisdizionali statali solo per ottenere un equo ristoro e non certo la rimozione della situazione sostanziale oggetto di controversia.

3.5 Invero la limitazione alla sola tutela per equivalente di pregiudizi difficilmente misurabili e/o coessenziali a situazioni nelle quali l’autonomia e la stabilità dei rapporti costituisce dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, in disparte il decisum di C. cost. n.49/2011, è tecnica di tutela assai diffusa e ritenuta pienamente legittima in numerosi e delicati comparti (conf. Cass., Sez. U., 15/03/2016, n. 5072 e 27/12/2017, n. 30985, in motivazione sulle tutele obbligatorie in ambito lavoristico).

3.6 Nè si può ipotizzare un diniego di giustizia rilevante ai fini dell’art. 6 CEDU, quale disposizione interposta alla norma costituzionale dell’art. 24, atteso che il diritto di accesso al giudice non è ostacolato dal ricorso a forme arbitrali (Corte EDU, 01/03/2016, Tabbane vs Svizzera, p. 23-36), purchè il rimedio di giustizia sia effettivo e non illusorio (Corte EDU, 19/03/1997, Hornsby vs Grecia; 15/02/2006, Androsov vs Russia; 27/12/2005, Iza vs Georgia; 30/11/2005, Mykhaylenky vs Ucraina, p.51; 24/02/2005, Plotnikovy vs Russia, p.22; 22/02-06/06/2005, Sharenok vs Ucraina, p.25). Gli Stati, del resto, godono di un certo margine di apprezzamento riguardo alle limitazioni del diritto di accesso purchè non compromettano l’essenza stessa del diritto, perseguano uno scopo legittimo e siano ragionevolmente proporzionali a tale scopo (Corte EDU, 29/11/2016, Lupeni Greek Catholic Parish e altri vs Romania, p. 89; 26/10/1998, Osman vs Regno Unito, p. 147; 18/02/1999, Wait & Kennedy vs Germania, p. 59; 15/09/2009, Eiffage S.A. e altri vs Svizzera). Si tratta di requisiti pienamente rispettati dalla legge italiana, così come interpretata da C. cost. n. 49/2011.

3.7 Nè la conclusione del ragionamento sin qui condotto, nell’esame complessivo ed unitario dei motivi di ricorso, può mutare per il solo fatto che quello controverso è sostanzialmente il solo diniego di revoca in autotutela del titolo di campione d’Italia assegnato alla soc. Internazionale in asserita presenza di illeciti sportivi da parte di alcune sue figure esponenziali. In ultima analisi, quello invocato è pur sempre l’esercizio postumo di un potere di natura disciplinare da parte della F.I.G.C.. Il che, a prescindere dalle peculiarità sottese alla vicenda, porta questa nel perimetro legale riguardante la “osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale” e i “comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive” (art. 2, comma 1, lett. b), che, rientranti nella riconosciuta autonomia dell’ordinamento calcistico, comportano l’irrilevanza per l’ordinamento generale delle situazioni “in ipotesi violate e dei rapporti che da esse possano sorgere” (C. cost., cit.). Ciò, nella specie, è coerente col rilievo più generale che il potere di autotutela soggiace alla più ampia valutazione discrezionale e non si esercita in base ad un’istanza di parte, avente al più portata meramente sollecitatoria e inidonea, come tale, ad imporre alcun obbligo giuridico di provvedere (Cons. Stato, Sez. 3, 11/06/2018, n. 3507; conf. Cons. Stato, Sez. 5, 19/04/2018, n. 2380).

4. In conclusione, tirando le fila sparse del discorso sin qui condotto, emerge con chiarezza come la natura delle situazioni soggettive portate dalla soc. Juventus all’attenzione della Corte territoriale, con l’impugnazione del lodo del T.N.A.S., abbia ad oggetto solo “l’attribuzione e la revoca (quale contrarius actus) del titolo di campione d’Italia”, in conseguenza dell’applicazione di regole tecniche e di disposizioni disciplinari irrilevanti per l’ordinamento statale, così come correttamente rileva l’ufficio del P.G. nelle conclusioni scritte depositate il 13/09/2018 (pag. 11).

4.1 Nè ciò confligge con principi che possano far dubitare della tenuta costituzionale della normativa vigente pro tempore, atteso lo scrutinio già effettuato da C. cost. n. 49/2011, senza che emerga la necessità di un nuovo scrutinio, neppure alla luce della normativa interposta e costituita della CEDU (vedi sopra).

4.2 Il ricorso avanzato dalla soc. Juventus va, dunque, rigettato; le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per ognuno in Euro 9000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2018

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