DIRITTI FONDAMENTALI E POTERE AMMINISTRATIVO: IL PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’

Lo Stato che riconosce e protegge i diritti umani non solo adempie a un impegno politico e giuridico a livello internazionale, ma contribuisce anche al mantenimento della pace della quale quei diritti sono il fondamento. D’altronde, le dimensioni della legalità e della civiltà giuridica sono tenute insieme dal rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali della persona.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che con il Trattato di Lisbona del 2009 ha assunto lo stesso valore giuridico dei Trattati europei, gli stessi Trattati europei, la Parte prima della nostra Costituzione costruiscono la linea dei diritti non più in senso piramidale, ma come “rete” che dà a ciascuno la dignità di persona e funge da limite sia all’autorità degli Stati che alla libertà incondizionata dei singoli.

Oltre a essere il criterio cardine di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e quello amministrativo, la natura della posizione giuridica soggettiva lesa dall’operato della pubblica amministrazione ha indirizzato la decennale tendenza giurisprudenziale incline a escludere che la detta Amministrazione sia dotata di un potere capace di sacrificare diritti soggettivi ritenuti inaffievolibili.

Il superiore indirizzo, inaugurato alla fine degli anni ’70, non è sempre stato condiviso nella sua assolutezza. Teorizza l’esistenza di diritti soggettivi assoluti non suscettibili di degradazione per effetto dell’intervento di un provvedimento amministrativo, il quale, pertanto, viene dichiarato nullo per difetto assoluto di attribuzione. La giurisdizione di tali fattispecie rimane radicata in capo al giudice ordinario, in quanto giudice naturale dei diritti soggettivi.

La giurisprudenza ha osservato che la PA non disporrebbe, dunque, del potere di affievolire un diritto incomprimibile e di pregiudicarlo anche solo indirettamente. Ove ciò accadesse si verserebbe in un’ipotesi di mero comportamento illecito.

Ne risulta condizionata anche l’individuazione delle tecniche di tutela azionabili, in quanto l’incomprimibilità dei diritti fondamentali non soggiace ai limiti dettati dagli artt. 4 e 5 della LAC. Questi prevedono il divieto per il GO di emettere pronunce di annullamento o revoca di un atto amministrativo, nonché di ordinare un “facere” specifico di carattere pubblicistico o un “pati” con incidenza diretta sull’attuazione di provvedimenti amministrativi.

Non è immaginabile, infatti, che il legislatore ordinario offra una tutela minore a diritti che la Carta costituzionale intende proteggere in modo assoluto.

La teoria dei diritti intangibili è stata applicata dalla giurisprudenza dapprima in tema di diritto alla salute, o meglio all’ambiente salubre, e poi progressivamente anche al campo dei diritti primari fondati sulle libertà costituzionalmente garantite, come la libertà di coscienza e di religione.

L’assunto della assoluta incomprimibilità di talune posizioni soggettive è stato oggetto di ripensamento dottrinale e giurisprudenziale. Se da un lato alcuni orientamenti considerano il diritto alla salute sempre e comunque non affievolibile, con conseguente cognizione sempre spettante al GO, altre letture propendono per la distinzione tra l’aspetto oppositivo e quello pretensivo del citato diritto. Il primo sarebbe caratterizzato dall’impedire lesioni all’integrità fisica del cittadino, il secondo, invece, tenderebbe a conseguire un miglioramento delle proprie condizioni, magari attraverso la fruizione di un servizio offerto dal Servizio Sanitario Nazionale.

Tuttavia, se nella prima ipotesi si verte di diritti soggettivi assoluti inaffievolibili, nel secondo caso gli stessi entrano nel giudizio di comparazione con altri interessi di pari grado costituzionale, come l’esigenza di contenimento della spesa pubblica. Pertanto, il privato non vanterebbe una situazione giuridica di pieno diritto, ma condizionata dall’attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento degli interessi coinvolti.

Quindi, esisterebbe e permarrebbe in capo alla PA il potere discrezionale di valutare e scegliere tra interessi contrapposti, con effetti degradatori della posizione giuridica intaccata in interesse legittimo, e la conseguente giurisdizione del giudice amministrativo.

Parte della dottrina è sempre stata critica sulla teoria esposta e ha sollevato rilevanti obiezioni. “In primis” ha fatto leva su un argomento logico-relazionale, in base al quale occorre trovare una sintesi tra diritti fondamentali e gli altri interessi pubblici, affidando alla legge e alla PA il compito di trovare la migliore soluzione possibile. Si argomenta, infatti, come non possa permanere un “vulnus” di tutela dovuto alla netta contrapposizione tra carattere fondamentale del diritto  e l’esercizio del potere discrezionale da parte dell’Amministrazione in una società pluralistica come quella attuale. Ciò sarebbe inconcepibile.

Non esistono diritti per così dire “tiranni”, ogni diritto fondamentale, cioè, trova i suoi limiti e contemperamenti e, talora, inevitabili pregiudizi, nella necessità di tutelare altri diritti fondamentali contrapposti e di perseguire altri interessi di natura privatistica e pubblicistica.

D’altra parte, la Costituzione che qualifica in via generale come fondamentali numerosi diritti attribuisce, comunque, al legislatore ordinario e, attraverso questo, alla PA  il compito di trovare le soluzioni concrete che meglio bilancino la tutela del  perseguimento degli interessi pubblici.

Si pensi, a titolo esemplificativo, alla costruzione di impianti di energia elettrica pure necessari allo sviluppo e al benessere generale. Così come gli impianti di telefonia mobile, la cui ubicazione è spesso autorizzata nonostante non possa escludersi che le onde elettromagnetiche siano rischiose per la salute. Ancora, il diritto alla riservatezza è contrapposto al diritto di manifestazione del pensiero e alla connessa libertà di stampa.

Un secondo argomento critico fa leva sulla Cedu che, attraverso l’art. 117 Cost., assume rilievo nel nostro ordinamento. Tra le posizioni soggettive ivi ritenute fondamentali rientrano anche  diritti prettamente patrimoniali, come il diritto alla proprietà privata. Sposando la tesi dei diritti inattaccabili si giungerebbe alla conclusione, palesemente inaccettabile,  che vedrebbe sempre  impedito l’esercizio di poteri pubblici da parte della PA di fronte al diritto di proprietà, appunto.

Da ultimo, si registra come negli anni sia venuta meno l’esigenza di applicare la teoria in oggetto. Infatti, prima della storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n.500/99 la tutela degli interessi legittimi era pallida e il al GA era precluso condannare l’Amministrazione al risarcimento del danno da lesione dei menzionati interessi. All’indomani della famosa pronuncia non c’è stata più ragione  di creare la categoria di diritti intangibile e affidarne la tutela al GO, in quanto piena ed efficace.

Si sottolinea, anzi, che la protezione offerta dal giudice amministrativo possa apparire ancor più intensa grazie al particolare effetto conformativo del giudicato amministrativo, rispetto a quello civile insensibile ai fatti nuovi, e allo specifico strumento dell’ottemperanza.

Alla luce di quanto argomentato, il principio di proporzionalità appare senza dubbio dirimente gli inevitabili conflitti tra diritti fondamentali e l’esercizio del potere amministrativo. Esso vieta alla PA di sacrificare la sfera giuridica dei privati al di là di quanto necessario per il perseguimento degli obiettivi prefissati. Il principio in oggetto è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla base delle tradizioni giuridiche comuni degli Stati membri, e presiede all’esercizio dell’attività amministrativa svolta dagli organi e dagli uffici dell’Unione europea, nonché dalle amministrazioni nazionali, allorchè intervengano e agiscano in applicazione di normative comunitarie.  L’art. 1 co. I, della legge sul procedimento dispone, infatti, che l’attività amministrativa si conformi anche ai principi dell’ordinamento comunitario.

Alcuni di questi sono pienamente coincidenti con quelli vigenti e seguiti dagli ordinamenti nazionali e, quindi, nel nostro, come il principio di imparzialità, di partecipazione, di accesso e di doverosità della motivazione.

Invece, parzialmente innovativo appare il principio in parola che vieta alla Amministrazione di comprimere la sfera giuridica dei destinatari della propria azione in misura diversa e ultronea rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dello scopo al quale l’azione stessa è preordinata.

Pertanto, la proporzionalità impone un’indagine trifasica volta ad accertare l’idoneità della misura allo scopo da raggiungere, la necessità della misura stessa, la proporzionalità con il fine, riconoscendo preferenza al provvedimento più mite che permetta, comunque, di conseguire il fine imposto dalla norma.

La proporzionalità delle decisioni amministrative consegue al rispetto del principio nazionale di ragionevolezza dell’azione amministrativa, in forza del quale ogni provvedimento adottato dalla PA., destinato a incidere su posizioni private, deve essere, appunto, proporzionale rispetto a quanto richiesto dagli obiettivi perseguiti. Nel diritto dell’Unione europea il principio in esame è precipuamente volto a garantire il rispetto delle posizioni dei soggetti privati rispetto all’esigenza della migliore soddisfazione dell’interesse pubblico.

L’immanenza della proporzionalità nell’ordinamento nazionale è ormai riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa. Significative al riguardo le pronunce in tema di limitazione al diritto di proprietà , di tutela ambientale, di irrogazioni di sanzioni con le quali è stato riconosciuto il valore di principio generale dell’ordinamento. Il che implica che l’Amministrazione vi si debba adeguare adottando la soluzione più idonea e adeguata, e comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti.

In questo senso, il principio in oggetto rileva  quale elemento sintomatico della correttezza dell’esercizio del potere discrezionale in relazione all’effettivo bilanciamento degli interessi in gioco. Pertanto, la proporzionalità dell’attività amministrativa non deve essere considerata come canone rigido e immodificabile, ma si configura quale regola che implica la flessibilità dell’azione amministrativa alla luce della peculiarità del caso concreto.

Ambito di applicazione, tra gli altri, della proporzionalità come principio che armonizza l’incontro tra i diritti fondamentali e il potere amministrativo è il settore delle gare di appalto. Qui si traduce nel rispetto dell’equilibrio tra gli obiettivi prefissati e i mezzi utilizzati, con il minor sacrificio possibile per gli interessi privati confliggenti con quelli pubblici. La PA appaltante, quindi, non potrà imporre né con atti normativi né con amministrativi obblighi e restrizioni in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria al pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo. Il provvedimento emanato, sicchè, dovrà essere idoneo, cioè adeguato all’obiettivo, e necessario, ossia efficace come nessun altro strumento disponibile meno pregiudizievole.

Nella materia delle sanzioni disciplinari, inoltre, si è sostenuto che la proporzionalità vada valutata anche con riferimento alle sanzioni inflitte agli altri dipendenti in relazione ai medesimi fatti.

Ancora, del principio “de quo” è stata fatta applicazione di recente in materia di ordinanze contingibili e urgenti, affermandosi la necessità che l’Amministrazione proceda ad adottare la soluzione idonea e adeguata, che non appaia sproporzionata rispetto alla urgenza da fronteggiare.

Come è noto, un ampio ricorso ai poteri di urgenza è stato previsto dalla disciplina per fronteggiare l’emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19. Dapprima, si è fatto affidamento all’art.32 della L.833/78 che riconosce al Ministro della Salute un potere di ordinanza; successivamente è stato approvato il d.l. 6/20 che ha attribuito un ampio potere di ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri. In attuazione del citato decreto legge sono stati emanati diversi decreti destinati a incidere in senso fortemente sacrificativo su diritti e libertà fondamentali dei singoli.

Il d.l.6/20 è stato in seguito abrogato parzialmente dal d.l. 19/2020, che ha dato un fondamento legislativo più puntuale al potere “extra ordinem” del Presidente del Consiglio. Infatti, all’art. 1 ha elencato una serie di misure adottabili precisando che avrebbero dovute essere contenute nel tempo e con la possibilità di modularne l’applicazione in aumento o in diminuzione in base all’andamento epidemiologico. Criteri guida sono stati i principi di adeguatezza e di proporzionalità.

Ci si è interrogati ovviamente sulla legittimità delle forti limitazioni alle libertà imposte dai citati provvedimenti, adottati per contenere l’epidemia. Infatti, questi hanno inciso pesantemente sulle fondamentali libertà costituzionali, come la libera circolazione ridotta fino a essere quasi del tutto annullata, la libertà di riunione, di culto, di istruzione se non con modalità a distanza, di iniziativa economica, di lavoro. Uno dei limiti non valicabili dalle ordinanze contingibili e urgenti è costituito proprio dai diritti costituzionalmente tutelati.

Dunque, il giudice amministrativo ha riconosciuto come, per la prima volta dal dopoguerra, si sia registrata la compressione di diritti fondamentali inerenti la persona, il libero movimento, il lavoro, la privacy, ma che ciò è avvenuto in nome di un valore ancor più primario e generale, di rango costituzionale, ossia la salute pubblica dei consociati, messa in pericolo da comportamenti individuali potenzialmente idonei a diffondere il virus.

Quindi, tenute in conto le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo, gli artt. 32 e 2 della Costituzione sono stati invocati quali parametri di valutazione della proporzionalità delle misure adottate. La necessità di tutelare la salute collettiva e il dovere inderogabile di solidarietà hanno ispirato le deroghe, le limitazioni e le compressioni ai diritti fondamentali  in nome della primaria esigenza di cautela avanzata nell’interesse della collettività.

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