L’avvocato può informare il suo assistito del rischio di arresto

La sentenza della Cassazione sezione VI, n. 37512 del 2021 ha affermato che non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare (nella specie effettivamente disposta e non eseguita per la latitanza dell’indagato), in quanto la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione processuale dell’assistito ne rende legittima la rivelazione a quest’ultimo, in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa.

Qualora, invece, l’acquisizione di notizie avvenga in maniera illegale – come nel caso di concorso nel delitto di rivelazione o di utilizzazione di segreti d’ufficio o nella fraudolenta presa visione o estrazione di copie di atti che devono rimanere segreti – si verifica una sorta di “solidarietà anomala” con l’imputato in virtù della quale l’aiuto del difensore è strumentale non già alla corretta, scrupolosa e lecita difesa ma alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi dell’art. 378 cod. pen. (Sez. 6, n. 7913 del 29/03/2000, Fasano F., Rv. 217188).

Inoltre, non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo fortuitamente acquisito la notizia dell’emissione nei confronti del proprio assistito di una misura cautelare, lo informi, consentendo così la sua latitanza, poichè non esorbita dalla funzione del difensore partecipare al proprio assistito quanto possa aiutarlo a mantenere la propria libertà personale (Sez. 6, n. 20813 del 18/05/2010, Valentino, Rv. 247349).

Nello specifico, nella sentenza richiamata la Cassazione ha escluso il reato valorizzando le circostanze “fortuite” dell’acquisizione della notizia poi rivelata all’assistito: così escludendo il reato di favoreggiamento allorquando il difensore abbia casualmente captato l’informazione, intravedendola sullo schermo di un computer della procura, che un addetto stava adoperando per compilare un certificato da lui richiesto.

Non si è trattato, quindi, di una informazione, pur indubbiamente segreta, “fraudolentemente carpita dal difensore”, ma di un’acquisizione della notizia dovuta a un caso fortuito, causata forse dall’infelice posizionamento dello schermo o all’errore di interrogazione del cervello elettronico da parte dell’impiegato.

In una simile ipotesi (in quella cioè di un’acquisizione fortuita di un’informazione, analoga all’ipotesi del ritrovamento di un documento smarrito per distrazione) non esorbita certamente dalla funzione dell’avvocato informare l’assistito di quanto possa aiutarlo a mantenere la propria libertà personale, essendo anche e soprattutto questo, il fine proprio della difesa.

Infine, l’imputato è libero di mentire a fine difensivo, e il giudice non è tenuto a prestare fede incondizionata alle sue dichiarazioni, ma a indagare, indipendentemente da esse, per accertare la verità. Pertanto, non integra gli estremi del reato di favoreggiamento personale il suggerimento dato all’imputato di rendere dichiarazioni mendaci al magistrato, mancando la idoneità a fuorviare l’attività giudiziaria (Sez. 1, n. 1040 del 11/11/1971 (dep. 1972), Di Gennaro, Rv. 120241).

Di conseguenza esula dalla condotta di favoreggiamento l’attività di consulenza fornita dal ricorrente agli indagati sulla base della conoscenza lecita degli atti redatti a loro carico e, specificamente, il suggerimento dato agli stessi in ordine alle dichiarazioni da fare alla A.G. rientrando nella facoltà degli stessi indagati quella di mentire.

In proposito, è principio condiviso – recepito anche nella sentenza citata dalla Cassazione – quello secondo cui il reato di cui all’art. 378 del cp., in tanto è configurabile in quanto il difensore abbia travalicato la funzione affidatagli, avendo acquisito o attraverso la consumazione di veri e propri reati (rivelazione di segreto di ufficio e quant’altro di simile) o fraudolentemente notizie la cui comunicazione al cliente sia idonea a intralciare le indagini.

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