Sulla perdita di chance

Si riporta di seguito il testo integrale della sentenza resa dalla VI Sezione del Consiglio di Stato in tema di perdita di chance, intesa come alternativa di un’occupazione lavorativa migliore, con particolare riferimento al lavoro pubblico privatizzato.

Si ringrazia per il contributo l’avv. Tommaso Maria de Grandis.

N. 09552/2020 REG.RIC.
N. _/____REG.PROV.COLL.
N. 09552/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9552 del 2020, proposto da
M.G. G., rappresentata e difesa dall’avvocato Tommaso De Grandis,
con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Istruzione e Ufficio scolastico regionale per la Puglia, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia 23 novembre
2020 n. 1493, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2021 il Cons. Diego Sabatino
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e uditi per le parti l’avvocato Tommaso De Grandis e l’avvocato dello Stato Maria
Vittoria Lumetti in collegamento da remoto, ai sensi degli artt. 4, comma 1 del
Decreto Legge n. 28 del 30 aprile 2020 e 25 del Decreto Legge n. 137 del 28
ottobre 2020, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft
Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario
Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso iscritto al n. 9552 del 2020, M. G. G. propone appello
avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia 23
novembre 2020 n. 1493, con la quale è stato respinto il ricorso da lei proposto
contro il Ministero dell’Istruzione e l’Ufficio scolastico regionale per la Puglia per
l’ottemperanza
della sentenza emessa dal GOT presso il Tribunale di Bari, sezione lavoro, n. 2170
del 14.6.2018.
Il giudice di primo grado ha così riassunto i fatti di causa:
“Con ricorso ritualmente proposto la prof.ssa M. G. G. ha adito
questo Tribunale per ottenere l’ottemperanza del Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca alla sentenza emessa dal GOT presso il Tribunale
di Bari, sezione lavoro, n. 2170 del 14.6.2018.
Segnatamente, la sentenza in questione – riguardante un ricorso collettivo avente
ad oggetto la domanda di riqualificazione dei contratti a termine conferiti oltre i 36
mesi ed il riconoscimento del conseguente risarcimento del danno in favore dei
ricorrenti, insegnanti di religione cattolica, per inadempimento contrattuale – ha
così statuito: “1) dichiara la inammissibilità della domanda di conversione; 2)
accoglie la domanda risarcitoria dei ricorrenti con contratti a termine stipulati con
la Amministrazione resistente che hanno superato il tetto dei trentasei mesi e, per
l’effetto, condanna il Ministero resistente al pagamento nei loro confronti, a titolo
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di risarcimento del danno derivante dall’espletamento di attività lavorativa in
violazione di disposizioni imperative, dell’importo in linea capitale pari ad euro
250,00 per ogni mese relativo al periodo di occupazione con contratti termine e
con decorrenza dalla data del superamento del termine di trentasei mesi, oltre
accessori come in motivazione; 3) rigetta ogni altra domanda; 4) condanna la
parte convenuta alla rifusione in favore della parte ricorrente della metà delle
spese di lite, che liquida per tale metà in curo 5.061,88, oltre accessori come per
legge, con distrazione in favore dei procuratori antistatari; 6) compensa tra le
parti la restante metà delle spese di lite”.
Tale sentenza non risulta essere stata impugnata ed è passata in giudicato.
La ricorrente ha soggiunto che in data 23.12.2019 ha notificato all’Ufficio
scolastico per la Puglia, con sede a Bari, nonché al Ministero (24.12.2019) l’atto
di precetto con cui “ha quantificato la somma risarcitoria, secondo i criteri
indicati in sentenza, per un importo, omnibus, di €. 49.393,27, di cui € 48.933,65 a
titolo di risarcimento del danno ed €. 459,62 a titolo di spese di precetto” (cfr. pag.
2); tale precetto non è stato opposto, ma l’USR ha con nota del 20.1.2020
“riconosciuto la congruità del risarcimento del danno chiedendo all’Avvocatura
dello Stato la sola congruità delle spese successive indicate in precetto” (cfr.,
ancora, pag. 2).
Ed ancora, in data 25.3.2020 la Banca d’Italia, con vaglia cambiario non
trasferibile nr. 6000173082-07, risulta aver rimesso alla ricorrente la somma di €.
23.542,50, che quest’ultima ha trattenuto sebbene a titolo di acconto.
In sostanza, l’Amministrazione avrebbe “diversamente quantificato il risarcimento
del danno” e non avrebbe “riconosciuto ben €. 25.391,15, rinvenienti dalla
differenza tra la somma complessiva chiesta in precetto decurtata quella liquidata
dal menzionato vaglia cambiario”.
La liquidazione di tale somma, dunque, costituirebbe l’oggetto richiesta
ottemperanza alla pronuncia del GOT presso il Tribunale di Bari
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
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Ricerca (29.6.2020), il quale ha depositato una relazione nella quale ha
evidenziato che “il ricorso è stato depositato in data 22.08.2011 e, in applicazione
della statuita prescrizione decennale, il conteggio degli anni utili ai fini del
risarcimento danno è stato calcolato dalla data del 01.09.2001 alla data del
31.05.2018 tenuto conto che la sentenza è stata pubblicata in data 14.06.2018 (dies
ad quem)”. Ha, poi, soggiunto che il risarcimento del danno, liquidato con vaglia
cambiari intestati ai singoli ricorrenti, è stato riconosciuto al netto della ritenuta
IRPEF, trattandosi di crediti connessi a un rapporto di lavoro; e che, infine, il
pagamento degli interessi legali e rivalutazione monetaria, trattandosi di somme
gravanti su un diverso capitolo di bilancio, sarebbe in corso di quantificazione per
una successiva liquidazione.
All’udienza in Camera di Consiglio del 23 settembre 2020, su richiesta del
ricorrente, è stato disposto il rinvio all’udienza camerale dell’11 novembre 2020,
prima della quale il Ministero ha depositato documentazione comprovante
l’avvenuto pagamento di €. 2.658,19; la ricorrente ha depositato una memoria in
data 1.10.2020, nella quale ha lamentato che “il capitale di € 3000 non è stato
rivalutato annualmente, come diversamente disposto in sentenza, quindi non sono
stati calcolati gli interessi legali sul capitale rivalutato ed è stata inopinatamente
applicata, sul capitale così calcolato l’aliquota del 27% del reddito irpef, imputato
non si sa bene a quale anno” e che “tali illegittimi conteggi sono stati calcolati
alla inspiegabile data del 31.05.2018, anziché all’attualità e/o alla data del
precetto ossia al 30.09.2019”.
All’udienza in Camera di Consiglio dell’11 novembre 2020, svoltasi con modalità
da remoto, la causa è stata trattenuta per la decisione.”
Il ricorso veniva dunque deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R.
riteneva infondate le censure proposte, sottolineando la correttezza dell’operato
della pubblica amministrazione in relazione all’entità delle somme dovute.
Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’errata
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ricostruzione in fatto e in diritto operata dal giudice di prime cure, riproponendo
come motivi di appello le proprie originarie censure, come meglio descritte in parte
motiva.
Nel giudizio di appello, si sono costituiti il Ministero dell’Istruzione e l’Ufficio
scolastico regionale per la Puglia, chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via
gradata, rigettare il ricorso.
All’udienza in camera di consiglio del giorno 8 aprile 2021, il ricorso è stato
discusso e assunto in decisione.
DIRITTO

  1. – L’appello è parzialmente fondato e merita accoglimento entro i termini di
    seguito precisati.
  2. – Con il primo motivo di diritto, rubricato “a) Violazione art. 1-3-34-88 e 112
    C.p.a.; art. 111, comma sesto, Cost. artt. 24, 53 e 113, motivazione apparente,
    erronea e illogica; error in procedendo et in iudicando; poiché la sentenza
    impugnata ha ritenuto ammissibile, in sede di giudicato di ottemperanza, “congrua”
    ed “equa” una tabella di conteggi a cui l’amministrazione ha, illegittimamente,
    applicato l’Irpef al 27% alla sorta capitale, erroneamente calcolata, così inficiando
    di errore anche gli interessi e la rivalutazione monetaria”, la parte appellante
    lamenta l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto corretta la tabella di
    conteggi depositata dall’amministrazione in sede di giudizio, con la quale è stata
    applicata una tassazione al 27% sulla sorta capitale della somma originariamente
    dovuta; la stessa tabella era poi ritenuta errata anche con riferimento alla
    quantificazione della sorta capitale, della rivalutazione monetari e degli interessi
    legali.
    2.1. – La censura è parzialmente fondata.
    Trattandosi di questione inerente diverse poste, cumulativamente considerate
    nell’unico motivo di diritto, l’accoglimento della doglianza è legato alla fondatezza
    delle censure in relazione ai singoli titoli, che devono quindi essere esaminati
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    separatamente.
    In relazione alla dedotta non assoggettabilità a IRPEF delle somme liquidate dal
    giudice del lavoro, va rammentato che la censura si pone in linea con le più recenti
    statuizioni in merito del giudice ordinario. In giurisprudenza (da ultimo, Cass. civ.,
    VI, 23 ottobre 2019, n. 27011; id., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072) si è osservato
    che “in materia di pubblico impiego privatizzato, il danno risarcibile di cui al
    D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, non deriva dalla mancata conversione del
    rapporto, legittimamente esclusa sia secondo i parametri costituzionali che per
    quelli Europei, bensì dalla prestazione in violazione di disposizioni imperative
    riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è
    configurabile come perdita di “chance” di un’occupazione alternativa migliore, con
    onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.”.
    Si è così affermato il principio per cui, nel regime del lavoro pubblico
    contrattualizzato, in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo
    determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia
    subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo
    restando il divieto di trasformazione del contratto a tempo determinato a tempo
    indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al
    risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione, con esonero
    dell’onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n.
    183, art. 32, comma 5.
    Sulla scorta di tale ricostruzione, l’importo oggetto di contestazione ha quindi
    natura risarcitoria da perdita di chance (ovvero di risarcimento di danno
    comunitario) estranea ai rapporti di lavoro posti in essere nella legittima
    impossibilità di procedere alla loro conversione, e, pertanto, seguendo i principi
    sopra ricordati, deve affermarsi che gli importi riconosciuti dal Giudice del lavoro
    quale risarcimento del danno D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 36, comma 5, non sono
    assoggettabili a tassazione del D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 6, comma 1.
    Il che determina, in parte qua, il riconoscimento della spettanza azionata.
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    2.2. – A diverso esito vanno invece ricondotte le ulteriori istanze dell’appellante.
    In merito alla ritenuta errata determinazione della sorta capitale, appare corretta la
    determinazione del periodo individuato, in quanto questo è stato espressamente
    individuato nella sentenza oggetto di ottemperanza, usando la frase “dalla “data
    odierna” e quindi rendendo palese il riferimento alla data del 14 giugno 2018, data
    di pubblicazione della sentenza, e non al 31 maggio 2018, come voluto dalla parte
    appellante.
    Del pari va condivisa la valutazione di genericità della censura in merito agli
    interessi legali e alla rivalutazione monetaria, trattandosi di un debito di valore.
    Infatti, in data 7 settembre 2020 è stato emesso, a favore della ricorrente, un
    secondo vaglia cambiario per l’importo di €. 2.658,19, oggetto di una contestazione
    generica in prime cure, inammissibilmente ampliata in appello, peraltro sempre
    genericamente.
    Conclusivamente, il motivo di censura è accoglibile limitatamente all’errato
    assoggettamento a imposta sul reddito delle somme dovute per risarcimento del
    danno da perdita di chance.
  3. – Con il secondo motivo di diritto, recante “b) Violazione art. 112 Cpa; art. 111,
    comma sesto, Cost.; art. 11 e 117 Cost. motivazione erronea; perplessità; illogicità;
    error in procedendo et in iudicando; in quanto il Giudice di prime cure ha omesso
    di applicare il diritto comunitario richiamato espressamente dalla sent. n.
    5072/2016 delle SS.UU. della Suprema Corte di Cassazione richiamata dalla sent.
    nr. 2170/2018 di cui si è chiesta l’ottemperanza, violando, altresì, lo “stare decisis”
    della Suprema Corte di legittimità”, vengono riprese le argomentazioni del primo
    motivo in relazione alla non assoggettabilità a tassazione della somma dovuta.
    Trattandosi di temi esaminati in precedente, si può fare rinvio a quanto dedotto in
    sede di scrutinio del primo motivo di diritto.
  4. – Con il terzo motivo di doglianza, recante “c) Erroneità per omessa motivazione
    e pronuncia sulle spese di precetto – Errore di diritto per violazione del principio di
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    corrispondenza tra chiesto e pronunciato – Violazione e falsa applicazione dell’art.
    112 c.p.c. e degli artt. 3 e 55 del c.p.a.”, si lamenta la mancata inclusione tra le
    poste spettanti delle spese di precetto, sostenute nella fase esecutiva.
    4.1. – La censura non può essere accolta.
    Come è ben chiaro in giurisprudenza (da ultimo, Cons. Stato, V, 31 marzo 2017,
    n.1498; id., V, 8 aprile 2014, n. 1645), nel giudizio di ottemperanza le ulteriori
    somme richieste in relazione a spese, diritti ed onorari successivi al decreto
    ingiuntivo sono dovute solo in relazione alle spese necessarie ad ottenere la
    defìnitività del decreto (richiesta ed estrazione di copie, notificazione, apposizione
    della dichiarazione di definitività da parte della cancelleria), alla pubblicazione,
    all’esame e alla notifica del medesimo, alle spese relative ad atti accessori, nonché
    le spese e i diritti di procuratore relative all’atto di diffida, in quanto hanno titolo
    nello stesso provvedimento giudiziale; non sono dovute, invece, le spese non
    funzionali all’introduzione del giudizio di ottemperanza quali quelle di precetto, che
    riguardano il procedimento di esecuzione forzata disciplinato dagli artt. 474 e ss.
    c.p.c., poiché l’uso di strumenti di esecuzione diversi dall’ottemperanza al giudicato
    è imputabile alla libera scelta del creditore (nella specie dell’Amministrazione), e
    ciò in considerazione del fatto che egli può scegliere liberamente di agire, o in sede
    di esecuzione civile, ovvero in sede di giudizio di ottemperanza e, una volta scelta
    questa seconda via, non può chiedere la corresponsione delle spese derivanti
    dall’eventuale notifica al debitore di uno o più atti di precetto.
    La doglianza va quindi rigettata.
  5. – Con il quarto motivo, recante “d) Violazione art. 112 C.p.a.; 35 c.p.a. art. 111,
    comma sesto, Cost., motivazione erronea; illogicità; error in procedendo in quanto è
    stata pronunciata una sentenza di merito e non di rito, sebbene sia stato dichiarato
    attuato il giudicato da parte dell’amministrazione”, si lamenta la mancata pronuncia
    in rito da parte del T.A.R., dove questi avrebbe dovuto unicamente
    l’inammissibilità del ricorso qualora avesse ritenuto che l’amministrazione avesse
    adempiuto correttamente.
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    5.1. – La censura è infondata.
    Come si evince dal contenuto della pronuncia, il primo giudice ha dovuto
    esaminare in dettaglio le singole censure proposte, rigettandole. Il contenuto
    decisionale si poneva quindi in contrasto con le ipotesi di sentenza di rito
    individuate dall’art. 35 c.p.a., rendendo quindi infondata la doglianza.
  6. – L’appello va quindi parzialmente accolto. Tutti gli argomenti di doglianza non
    espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della
    decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
    Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese
    processuali – con l’eccezione di legge del contributo unificato, stante la disciplina
    di cui all’art. 13 comma 6-bis.1 del d.P.R. n. 115 del 2002 -, determinati dalle
    oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisa e dalle oggettive difficoltà di
    accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle
    rispettive ragioni delle parti (così da ultimo, Cassazione civile, sez. un., 30 luglio
    2008 n. 20598).
    P.Q.M.
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
    pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:
  7. Accoglie parzialmente l’appello n. 9552 del 2020 e, per l’effetto, in riforma della
    sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia 23 novembre 2020 n.
    1493, resa tra le parti, accoglie il ricorso di primo grado nei sensi di cui in
    motivazione;
  8. Dispone che la pubblica amministrazione resistente, Ministero dell’Istruzione e
    Ufficio scolastico regionale per la Puglia, dia integrale esecuzione al giudicato
    formatosi sulla sentenza emessa dal GOT presso il Tribunale di Bari, sezione
    lavoro, n. 2170 del 14 giugno 2018, adottando gli atti necessari nel termine di
    giorni sessanta dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica della
    presente sentenza;
    N. 09552/2020 REG.RIC.
  9. Dispone che, in caso di ulteriore inadempimento, a tale valutazione provveda il
    commissario ad acta, qui indicato in un funzionario dell’Ufficio territoriale di
    Governo di Bari, alla cui designazione provvederà, scaduto il termine di sessanta
    giorni predetto e su istanza della parte appellante, il Prefetto di Bari;
  10. Pone a carico della parte resistente, Ministero dell’Istruzione e Ufficio scolastico
    regionale per la Puglia, l’eventuale compenso al commissario ad acta, da liquidarsi
    con successivo provvedimento;
  11. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
    Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2021 con
    l’intervento dei magistrati:
    Sergio De Felice, Presidente
    Diego Sabatino, Consigliere, Estensore
    Oreste Mario Caputo, Consigliere
    Dario Simeoli, Consigliere
    Davide Ponte, Consigliere

L’ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Diego Sabatino
Sergio De Felice

IL SEGRETARIO

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