La tutela risarcitoria in forma specifica in caso di lesione o perdita della proprietà

Il codice civile all’art. 2058 prevede la possibilità che il risarcimento avvenga in forma specifica, oltre  alla forma del risarcimento pecuniario per equivalente ai sensi degli artt. 2056 e 2057.

Nell’utilizzare le formule di riparazione o di risarcimento in natura si dà l’immediata percezione funzionale del ripristino della situazione giuridico-materiale che sarebbe esistita se non fosse intervenuto il fatto determinante l’obbligazione risarcitoria.

Ne consegue che applicando la tutela in esame andrà ripristinato non lo stato precedente l’evento, ma la situazione materiale che si sarebbe avuta in assenza dell’illecito, tenuto conto dei normali accadimenti modificativi della realtà  fisica e giuridica che si sarebbero ugualmente prodotti.

L’art. 2058 cc, dunque, abbraccia, la rimozione della fonte di danno e delle sue conseguenze pregiudizievoli con l’attribuzione al danneggiato della medesima utilità giuridico-economica dalla condotta illecita. Il danno quale accadimento esteriore e storico, ovviamente, non potrà essere eliminato.

Le due tipologie di risarcimento sono, dunque, accomunate dal fatto che presuppongono il danno quale decremento del patrimonio giuridico del creditore e sono commisurati alla diminuzione stessa.

Pertanto, il risarcimento in forma specifica non è configurabile quale rimedio eccezionale o sussidiario, ma semplicemente una modalità di ristoro del danno.

Una parte della dottrina ha sostenuto che fosse uno strumento generale contraddistinto dal non impiego del denaro quale surrogato del danno patito. Resta, tuttavia, prevalente, l’opinione in base alla quale l’obbligazione risarcitoria sia unica e che la riparazione in natura sia appunto una forma di risarcimento dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio o del dovere di rispetto altrui.

A suffragare quest’ultimo indirizzo milita la collocazione sistematica dell’art.2058 tra le regole sulla responsabilità per danni, immediatamente seguente a quelle sul risarcimento per equivalente.

Anche il dato letterale depone in tal senso, infatti la rubrica fa riferimento al risarcimento e il secondo comma al potere del giudice di disporre il risarcimento solo per equivalente, dimostrando che ambedue i rimedi condividono la natura di risarcimento.

La giurisprudenza, a volte ondivaga, ha iperdilatato la tecnica di tutela in esame fino  ad attribuirle una funzione generica di carattere inibitorio e fino a ricomprendere azioni a protezione di diritti reali e della personalità.

Il contenuto della prestazione risarcitoria è estremamente variegato, le possibili attività concrete alle quali sarà tenuto il responsabile ineriscono alla natura del danno arrecato. Dunque, se sarà consistito nella distruzione di un oggetto determinato,  la riparazione sarà una prestazione di un oggetto uguale, della medesima qualità, e non di qualità media propria del genus corrispondente.

Potrà anche consistere nell’obbligo di consegnare una somma di danaro pari alle spese necessarie al ripristino della situazione materiale alla quale il creditore intenda provvedere.

Il risarcimento in forma specifica è uno strumento valido ed efficace anche per la riparazione dei danni non patrimoniali. La collocazione prima dell’art.2059 cc non inficia il detto utilizzo. L’art.186 cp sulla pubblicazione della sentenza per riparare il danno non patrimoniale da reato e l’art. 120 cpc  comprovano la bontà del superiore assunto, onde rimuovere o attenuare l’effetto di una notorietà lesiva per il danneggiato.

A questi è dato, quindi, il potere di scegliere espressamente tra la richiesta di risarcimento in forma specifica oppure per equivalente, come pure può rifiutare la riparazione specifica spontaneamente offerta dal responsabile in corso di causa.

Inoltre, debitore e creditore possono accordarsi sul risarcimento in forma specifica grazie a un contratto innominato avente causa risarcitoria.

Parte della dottrina ha configurato l’anzidetta facoltà di scelta quale obbligazione alternativa; tuttavia, al caso in esame non è applicabile la disciplina dell’art. 1286 cc sulla irrinunciabilità della scelta, stante addirittura la possibile concorrenza dei rimedi in esame.

Altri autori hanno tentato l’inquadramento all’interno della categoria delle obbligazioni facoltative, ma l’impossibilità estintiva di una delle due prestazioni non è applicabile al risarcimento in forma specifica. A ciò si aggiunga che la scelta tra le obbligazioni non appartiene al debitore ma al creditore.

Sicchè, come già anticipato, secondo la Cassazione l’obbligazione risarcitoria è unica, ma può presentarsi sotto due differenti aspetti. La scelta può essere modificata anche in grado di appello senza incorrere nel vizio di ultrapetizione,  ossia la Suprema Corte  ammette la possibilità di mutare la domanda di reintegrazione in forma specifica proposta in primo grado con quella di risarcimento per equivalente. Nega che possa avvenire  il contrario.

La dottrina si è anche interrogata sulla eventuale primazia di una delle due forme di tutela, da un lato sostenendo che avrebbe importanza maggiore il risarcimento in forma specifica in quanto quello per equivalente rappresenterebbe un mero surrogato del bene leso. La domanda di risarcimento in forma specifica ricomprenderebbe anche quella per equivalente, visto il tenore letterale del comma 2 dell’art.2058.

Altra parte della dottrina, ha, invece, sottolineato come i limiti dovuti all’impossibilità o all’eccessiva onerosità per il debitore siano estranei al risarcimento per equivalente, e a questo si fa necessario ricorso ove il risarcimento in forma specifica non riesca a coprire l’intero danno.

Dunque, i limiti del potere di scelta tra i due rimedi risiedono nella possibilità della reintegrazione, totale o parziale, dal punto di vista naturalistico e giuridico. Il risarcimento per equivalente, dunque, potrà essere disposto direttamente dal giudice senza incorrere in un vizio di ultrapetizione ove vi sia l’impossibilità materiale anche solo parziale della reintegrazione.

L’ulteriore e più gravoso limite della eccessiva onerosità per il debitore dovrà essere specificamente opposto nel relativo giudizio e attiene più alla sproporzione del sacrifico economico richiesto che all’entità del danno derivato al bene danneggiato o distrutto.

Dunque, il limite previsto opererà allorquando il costo della reintegrazione supererà di gran lunga la diminuzione del valore del bene leso. Ogni danno va riparato rispondendone, ma se il giudice rinvenisse il limite della eccessiva onerosità dovrebbe disporre il risarcimento per equivalente e non ex art.2058 cc.

Qualora, invece il valore d’uso successivo al ripristino del bene fosse maggiore a quello originario e determinasse un accrescimento del valore di scambio, la reintegrazione in forma specifica porterebbe addirittura a un ingiustificato arricchimento del danneggiato.

Stante la collocazione sistematica all’interno della responsabilità aquiliana, si è sostenuto che il risarcimento in forma specifica si potesse riferire solo a danni di tipo extracontrattuali. A conforto del superiore assunto vi sarebbe il dato normativo degli artt. 1223 e ss, i quali non citano la tecnica di tutela in esame, alla quale non sarebbe possibile giungere nemmeno tramite un’interpretazione analogica.

I fautori della contraria opinione positiva ritengono del tutto superabili le censure predette. Infatti, riferendosi alla relazione preliminare al codice del ’42, hanno sottolineato come il legislatore intendesse applicare la forma specifica di risarcimento anche alla materia contrattuale.

Nemmeno la collocazione dell’art.2058 cc sarebbe ostativa all’interpretazione analogica in quanto sia l’art.1218 che l’art.1453 disciplinano in termini generici e senza specificazioni di sorta il “risarcimento del danno”.

La diretta conseguenza di questa impostazione dottrinaria sarebbe l’applicabilità dell’art.2058 anche alla liquidazione del danno contrattuale con i normali limiti del comma 2 della prefata norma.

La recente produzione normativa, come ad esempio il codice del consumo, prevede azioni volte a realizzare sostanzialmente un risarcimento in forma specifica. In detta categoria vanno appunto ricondotte le riparazioni dei beni di consumo ceduti dal venditore che non possono essere inquadrate tra gli esiti dell’azione di esatto adempimento.

Non di poco rilievo, dunque, appare la differenza tra quest’ultimo istituto e la tutela in forma specifica.

Il primo è un’azione diretta a ottenere la condanna del debitore all’adempimento, è un comando del giudice che integra la fonte dell’obbligazione con l’effetto principale di far conseguire al creditore un titolo esecutivo, utile ai fini non trascurabili dell’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.

Tra i suoi presupposti vi sono la inesecuzione totale o parziale della prestazione e la relativa imputabilità al debitore, comuni anche al risarcimento in forma specifica.

Nella restituzione in natura si postula, invece, la irrimediabilità della lesione alle aspettative del creditore alla prestazione originaria, riparabile solo con una prestazione diversa e succedanea rispetto a quella prevista nel rapporto.

Dunque, l’azione di esatto adempimento sarebbe la misura dell’attuazione del diritto vantato dal creditore, mentre il risarcimento in forma specifica la reazione alla lesione subita dall’attore.

Da ciò discende come alcuni autori ritengano sostanzialmente inutile la tecnica di tutela specifica, in quanto il contraente che non riceve la prestazione dovuta potrebbe chiedere l’esatto adempimento o alternativamente la risoluzione del contratto al fine di conseguire il ripristino della situazione antecedente l’inadempimento.

Tuttavia, si è utilmente replicato come non sempre i risultati pratici siano sovrapponibili. Infatti, se un agronomo dovesse fallire la sua prestazione e far seccare le piante che ha messo a dimora, non potrebbe far rinascere quelle stesse piante con l’azione di esatto adempimento. Potrebbe, invece, utilmente piantare altre colture della stessa specie andata seccata.

La conseguenza giuridica dell’inadempimento è la responsabilità, fondamento della relativa obbligazione risarcitoria. La prestazione ottenibile  con l’azione di esatto adempimento è apparentemente identica a quella originariamente dedotta in obbligazione, ne muta però il titolo, che non sarà più l’adempimento, bensì un fatto illecito, ossia l’inadempimento.

Si è accennato come una parte minoritaria della dottrina attui il perimetro operativo dell’art. 2058 cc al di là dell’ambito risarcitorio del danno, ricomprendendo anche azioni ripristinatorie, reintegratorie, inibitorie dei diritti a seguito di meri danni-eventi, privi, dunque, di conseguenze dannose.

La costruzione teorica in parola delinea l’art. 2058 cc come una disposizione generale a contenuto variabile che consente il ripristino dell’integrità dei diritti violati, la rimozione di comportamenti antigiuridici. Si tratterebbe, dunque, di un grimaldello atipico adatto principalmente a proteggere i diritti inviolabili della persona , la cui tutela codicistica appare lacunosa e inadatta, e  per ricostruire normali condizioni di esercizio di attività giuridicamente protette e condizioni di godimento di un bene.

A ciò si è obiettato come il legislatore abbia già predisposto strumenti tipici e una tutela inibitoria e ripristinatoria tipica, dotata di carattere di eccezionalità e tassatività  per le lesioni di interessi fondamentali, quali diritti reali e  possessori.

L’orientamento pretorio segue per la maggior parte quest’ultimo indirizzo e distingue nettamente la tutela inibitoria –ripristinatoria dei diritti  reali e del possesso da quella disciplinata dall’art. 2058 cc.

Infatti, presupposto della prima è un titolo di proprietà o di possesso, e non la dimostrazione del danno ingiusto ex art.2043 cc., seguito dai relativi criteri di imputazione soggettiva; più limitatamente è richiesto la lesione di una posizione giuridica.

Non è, inoltre, applicabile il limite della eccessiva onerosità del II comma dell’art.2058 cc., né la disciplina della prescrizione quinquennale dell’art. 2947 cc.

L’azione inibitoria, sicchè, provvederà a condannare alla cessazione del fatto lesivo della proprietà, e, dunque, solo il diritto sul bene violato; invece, la condanna al risarcimento in forma specifica ripristinerà il patrimonio leso reprimendo il danno.

Le due tutele non si unificano ma ben possono integrarsi e convivere, in quanto connesse , pur nella loro autonomia  e non assimilabilità concettuale. Ciò anche all’interno dello stesso contesto processuale, laddove la reintegrazione del diritto violato non elimini del tutto l’eventuale danno da mancato godimento del bene.

L’art. 2058 cc non crea una nuova figura di reintegrazione per qualsiasi situazione violata, il presupposto del risarcimento, infatti, è e resta la verificazione di un danno ingiusto.

Qualche autore ha voluto sottolineare la fungibilità, apparente per altri autori, dell’azione risarcitoria rispetto a quella reale o possessoria, in riferimento alla mancata esperibilità di queste ultime per estinzione del diritto e perché il bene è stato acquisito in base a un titolo nullo. Tuttavia, appare poco convincente la predetta teoria vista la diversità dei presupposti delle due azioni e delle funzioni, come argomentato supra.

In tema di doppia alienazione immobiliare, ossia quando un soggetto acquirente di un immobile già alienato ad altri in ossequio al principio consensualistico, trascriva prima di questi il suo acquisto, appare interessante rilevare come non sarà utilizzabile il rimedio risarcitorio in forma specifica dell’art.2058 cc. Il primo acquirente non potrà conseguire la proprietà dell’immobile, tramite un negozio traslativo imposto al secondo acquirente-primo trascrivente , in quanto l’ordinamento giuridico ha stabilito di conferire il diritto di proprietà a colui che lo trascrive per primo per evidenti ragioni di certezza nelle vicende circolatorie dei beni immobili.

Un’ultima rilevante questione è rappresentata dal problema che la dottrina si è posta sul carattere sussidiario-suppletivo del risarcimento in forma specifica rispetto all’azione reintegratoria. Se un primo orientamento sottolinea la possibilità di eludere il termine di decadenza posto per quest’ultima azione, sostenendo come la tecnica risarcitoria riesca a riempirne i vuoti ; un altro indirizzo, all’opposto, predica che i differenti presupposti possono fondare medesimi risultati pratici di tutela  grazie al  carattere ancillare del risarcimento in forma specifica.

Infine, in caso di corresponsione del cd.danno sostitutivo ex art.948 cc non si verserebbe in un’ipotesi di azione risarcitoria, ma reale. Infatti, se per esempio nelle more di un processo fosse andato distrutto un bene rivendicato, la norma citata prevederebbe il versamento del valore della cosa secondo lo schema  restitutorio –ripristinatorio, oltre a comminare il risarcimento del danno.

Il danno sostitutivo e il rimedio restitutorio avrebbero, perciò, la stessa funzione.

Se la domanda di rivendicazione non fosse  proponibile ab origine in quanto il bene illegittimamente sottratto è andato distrutto , l’attore dovrebbe optare per un’azione risarcitoria con la necessaria dimostrazione del danno, della sua ingiustizia, del dolo o della colpa del danneggiante e con il rispetto dei limiti del comma 2 dell’art.2058 cc., se scegliesse la forma specifica.

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