Anche il datore di lavoro può agire in giudizio per far accertare la legittimità del licenziamento intimato

In tema di rito del lavoro, tutte le controversie aventi ad oggetto i licenziamenti che ricadono nell’ambito di tutela dell’art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, anche se su impulso di parte datoriale, sono assoggettate alla disciplina dell’art. 1, commi 48 e ss. della L. 28 giugno 2012, n. 92, “ratione temporis” applicabile.

In caso di azione del datore di lavoro di accertamento della legittimità del recesso intimato, il lavoratore, nella fase sommaria, può proporre, con la memoria di costituzione, domanda di tutela ai sensi dell’art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300; in tale evenienza, spetta al giudice di merito garantire l’effettività del contraddittorio.

Il cd. “rito Fornero”, infatti, è sottratto alla disponibilità delle parti, in quanto diretto, non al vantaggio di una di esse, ma alla certezza, in tempi ragionevolmente brevi, dei rapporti giuridici di lavoro; pertanto ad entrambe le parti del rapporto sostanziale, è riconosciuta la medesima tutela giurisdizionale, in virtù del principio costituzionale di equivalenza nell’attribuzione dei mezzi processuali esperibili.

Tra l’altro, prima dell’ entrata in vigore del nuovo rito, la giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato la sussistenza di un interesse ad agire, anche in capo al datore di lavoro, qualora sussistesse una pregiudizievole situazione d’incertezza, in relazione al rapporto di lavoro, non eliminabile senza l’intervento del giudice.

In particolare, la Cassazione aveva ritenuto ammissibile la domanda del datore di lavoro diretta all’accertamento della legittimità del licenziamento, ancorché questo fosse stato già impugnato dal lavoratore con l’instaurazione di un precedente giudizio, salva in ogni caso l’applicabilità della disciplina della continenza delle cause ex art. 39 cod. proc. civ.

Da ultimo, si legga la sentenza della Cassazione civ., Sez. lavoro, 23-11-2018, n. 30433.

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