Datore di lavoro ed esclusione della sua responsabilità

In tema di infortuni sul lavoro, ove il datore di lavoro non abbia rispettato specifiche norme di sicurezza, la sua responsabilità, in ordine all’infortunio subito dal dipendente, non può essere senz’altro ammessa se sia emersa una coeva o successiva condotta colpevole dell’infortunato o di altri, né esclusa soltanto per tale fatto, dovendosene accertare la reale autonomia causale rispetto alla causa posta in essere dal datore di lavoro ovvero la concorrenza.

E’ quanto ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione nella recente sentenza Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 03-11-2017) 07-03-2018, n. 5385.

In un delicato caso che ha interessato questo studio legale un nostro Cliente, in qualità di datore di lavoro del fratello, era stato vocato in giudizio dall’INAIL in una azione di regresso, per restituire quanto percepito dall’infortunato da parte dell’ente assicuratore.

Il fratello si infortunò poichè, durante la riparazione di una persiana, non indossò le cinture ed i dispositivi di sicurezza predisposti diligentemente dal suo datore di lavoro, e cadde dal secondo piano. L’infortunato rifiutò più volte di seguire la normativa antinfortunistica, nonostante fosse stato ripetutamente ammonito a farlo.

La Corte di Cassazione, dunque,  affermò già dal 2008 che l’art. 2087 c.c., impone all’imprenditore l’obbligo di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro per cui il fatto che dallo svolgimento delle mansioni sia derivato un danno patrimoniale o non patrimoniale al prestatore di lavoro corrisponde ad inadempimento del detto obbligo di tutela ed impone all’imprenditore l’onere di provare, ai sensi dell’art. 1218 c.c., l’impossibilità di adempiere, per causa a lui non imputabile. L’art. 2087 c.c., citato, suole essere definito come norma di chiusura del sistema antinfortunistico nel senso che, anche ove difetti una specifica norma preventiva, la disposizione prescrive al datore di lavoro di adottare comunque le misure generiche di prudenza, diligenza ed osservanza delle norme tecniche e di esperienza .

Ciò comporta che il sistema legale non configura una responsabilità oggettiva del datore per infortunio subito dal prestatore di lavoro, ma richiede che l’evento dannoso sia pur sempre riferibile a colpa del primo .

Ulteriore conseguenza è che l’art. 2087 c.c., richiede una collaborazione tra le due parti del contratto di lavoro, onde il lavoratore è obbligato a rispettare sia la normativa antinfortunistica sia le regole di prudenza e il datore di lavoro può, nel fornire la prova liberatoria ex art. 1218 cit., dimostrare la concorrente colpa del prestatore al fine di diminuire il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1.

L’accertamento dell’apporto causale dell’infortunato nella determinazione del quantum di risarcimento dovuto dal datore di lavoro, sempre che la colpa del medesimo danneggiato non sia tale da interrompere il nesso causale tra l’inadempimento datoriale e l’evento infortunistico, è rilevante anche se non esclude la responsabilità per mancata attuazione delle misure in quanto è valutabile in sede di concorso .

Dunque la colpa del danneggiato può influire sulla misura del risarcimento allo stesso spettante ai sensi dell’art. 1227 c.c., ed in tal modo essere rilevante anche al fine di limitare l’entità del regresso dell’INAIL nel senso che, pur non essendo il credito dell’Istituto assicuratore soggetto, in caso di concorso di colpa dell’infortunato, a riduzione proporzionale al grado del concorso stesso, esso trova come unico limite quantitativo il complessivo ammontare del risarcimento che sarebbe dovuto dal responsabile all’infortunato secondo le norme generali sui danni da fatto illecito”.

 

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