La scriminante culturale putativa

Nella società contemporanea, non si può negare la necessità di procedere a un’interpretazione delle norme penali che risenta del momento storico e culturale di riferimento, caratterizzato dal “multiculturalismo”, quale precipitato dell’integrazione dei migranti nella compagine sociale, ma occorre tuttavia tenere presente che nessun sistema penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo i beni di maggiore rilevanza, quali i diritti inviolabili dell’uomo garantiti e i beni ad essi collegati tutelati dalle fattispecie penali, che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili, della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino .

La cd. cultural defence o esimente culturale ha per fortuna fatto poca breccia nel nostro sistema penale, come di recente confermato dalla sentenza n. 29613/2018 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione.

Così come l’ignoranza sull’esistenza della norma penale incriminatrice non appaiono idonee ad integrare una causa di non colpevolezza degli imputati che, oltre a risultare ben integrati nel tessuto sociale ove vivevano e lavoravano da anni, allegano a propria discolpa un’ignoranza che non assumerebbe rilevanza neanche nel Paese di origine, nella sentenza de qua l’Albania, ove i medesimi fatti risultano sanzionati penalmente .

In giurisprudenza suscitò scalpore il caso Pusceddu, un giovane sardo trasferitosi in Germania, il quale brutalizzò per giorni la fidanzata immigrata lituana, perchè convinto che lei lo tradisse. Ebbene, il tribunale di Buckeburg, che lo giudicò, gli concesse uno sconto di pena in virtù delle sue origini italiane, recanti “particolari impronte etniche e culturali”. Dunque, il fattore culturale, le origini sarde, funsero da scriminante culturale. Tuttavia, il giudice tedesco, antropologo improvvisato, non tenne conto che la cultura sarda è fondata atavicamente sul matriarcato. Autorevole dottrina italiana lamentò una forma di razzismo contemporaneo, e ricordò come Eleonora d’Arborea, giudicessa sarda del 1300, promulgò la Carta de Logu, ossia il primo codice europeo che riconobbe la donna come soggetto di diritto.

Si segnala, comunque, come un filone giurisprudenziale, ormai consolidato, conferisce rilievo alla cultura d’origine al fine di escludere l’applicazione della circostanza aggravante dei futili motivi ex art. 61, n.1, c.p. (cfr. Cass. pen. sez. I, n.51059/13).

La circostanza aggravante dei futili motivi sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato da apparire, secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.

Per quanto non siano assolutamente condivisibili nella moderna società occidentale, nemmeno possono essere ritenuti “futili” motivi ad agire connessi al rispetto dell’onore familiare e della fede religiosa .

Riprovevole ma non futile.

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