L’avvocato non è consumatore nei contratti per utenze telefoniche

Nel contratto di utenza telefonica concluso anche per uso professionale, l’avvocato non riveste la qualifica di consumatore, pertanto non trova applicazione il foro esclusivo stabilito dal Codice del Consumo (art. 33 c. 2 lett. u) d. lgs. 206/2005).

Infatti, il negozio stipulato per soddisfare interessi connessi alla professione rientra negli “atti professionali”; inoltre, il fatto di essere “contraente economicamente debole” non qualifica, di per sé, la parte come consumatore.

Secondo la Suprema Corte non è necessario concludere un contratto che costituisca esercizio della professione, ma è sufficiente che tale contratto sia concluso per soddisfare interessi connessi o accessori allo svolgimento della professione.

Pertanto, rientrano negli “atti professionali” dell’avvocato non solo i contratti di mandato o consulenza con il cliente, ma anche quelli necessari o utili all’esercizio della professione, per esempio l’acquisto di testi giuridici, la stipula di una polizza per la responsabilità civile professionale, la somministrazione di luce e gas per l’ufficio.

Inoltre, sostiene la Corte di Cassazione che la sperequazione economica tra i contraenti non è di per sé sufficiente a determinare l’applicazione della disciplina consumeristica.

Non esiste alcuna corrispondenza tra la nozione di professionista (art. 3, lett. c) d. lgs. 206/2005) e quella di “soggetto forte” all’interno del rapporto negoziale.

Così ha deciso la Corte di Cassazione, Sezione III, con l’ordinanza 26 settembre 2018 n. 22810.

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